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Da ormai due settimane il Cile meridionale è devastato dagli incendi, un disastro senza precedenti che sta assumendo proporzioni storiche: sono infatti più di un centinaio i fronti di fuoco attivi, e solo in parte sono sotto controllo, mentre le fiamme hanno ormai divorato 400.000 ettari di terreno, una superficie per intenderci vasta come l’intera provincia di Siena. Anche numerose aziende vinicole hanno subito danni dal fuoco: un centinaio di vigneti nella regione di Maule e nella valle di Colchagua sono andati distrutti o danneggiati mentre la nota casa vinicola Concha y Toro informa di avere finora subito una perdita di ‘solo’ una cinquantina di acri. Molti piccoli viticoltori hanno visto bruciare tutto, complice il clima insolitamente secco e i forti venti che alimentano il fuoco. Il governo cileno ha dichiarato lo stato di emergenza mentre un primo bilancio provvisorio parla di 10 morti e 40 feriti, quasi tutti tra i vigili del fuoco, un migliaio di case distrutte e più di 4.000 persone evacuate, cifre che purtroppo sono destinate a crescere.


Il presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, e l’assessore regionale all’agricoltura, Giorgio Ferrero, hanno inviato una lettera al ministro dell’agricoltura, Maurizio Martina, nella quale si chiede di far proseguire velocemente l’iter istruttorio ministeriale per la modifica della Docg Asti, presentata lo scorso dicembre, che introduce una versione a basso contenuto di zucchero. Subito battezzato ‘Asti secco’, questa nuova tipologia non ha mancato di suscitare polemiche, anche forti, fin dalla sua ideazione avvenuta la scorsa estate. Lo stesso consorzio ammette le recenti difficoltà di mercato della tipologia spumante dolce e la volontà di assecondare i gusti dei consumatori che si rivolgono a spumanti con minore tenore zuccherino, e ricorda a tutti l’attuale successo della versione tappo raso del Moscato d’Asti Docg.

L’Asti Docg o lo stesso Moscato d’Asti Docg nella loro storica versione ‘dolce’ non saranno quindi sostituiti da questa nuova tipologia di Asti ma bensì affiancati, fanno sapere dal consorzio di tutela, che parla di ‘una estensione delle capacità espressive del nostro territorio’. Di parere diametralmente opposto i produttori di Prosecco, che vedono questa deriva piemontese verso il secco come una minaccia a loro rivolta e puntano il dito contro il termine ‘Asti secco’ che, secondo loro, genera confusione nei consumatori e un pericoloso precedente capace di mettere in discussione tutta l’attività di tutela fin qui da loro svolta.


Con la nascita dell'associazione Route des vins - Iter Vitis Magon ha preso il via il progetto di cooperazione transfrontaliera Magon che ha l’obiettivo di predisporre un percorso dedicato al vino e alla sua cultura, vista come elemento unificatore della civiltà mediterranea. Un itinerario culturale che si estenderà tra Cartagine e Capo Bon in Tunisia e che abbraccerà anche la zona di Selinunte in Sicilia interessando i siti archeologici di origine fenicia e punica delle due regioni: una vera e propria strada del vino, con cantine organizzate a ricevere i visitatori secondo i più moderni standard. Il progetto prende il nome da Magone il Cartaginese, erudito del III secolo a.C. e autore di un trattato di agronomia in 28 volumi, andato perso, che venne portato a Roma dopo la distruzione di Cartagine e tradotto in latino e poi in greco, di cui restano solo alcuni frammenti.


Da diversi anni è in atto la ricerca di un nome per lo spumante inglese che sia unico e spendibile internazionalmente. Non è certo un compito facile mettere d’accordo produzione, commercio e i consumatori, ci prova il Times che sulle sue colonne ha indetto un sondaggio in merito. Tra le numerose risposte ricevute sembra abbia preso quota British Fizz, proposto da un barman di New York, mentre continua a tenere il nome Merret, un medico inglese del XVII secolo che studiò l’aggiunta di zuccheri per la spumantizzazione dei vini. Sul viale del tramonto invece Britagne, mentre tra le proposte più o meno strampalate ricevono una sonora bocciatura sia Frisson sia Shampagne (con la esse). British Fizz, aggiunge il Times, potrebbe essere la giusta risposta e si auspica che venga a breve adottata dai produttori della United Kingdom Vineyard Association, impegnati da tempo a tentare di veder riconosciuto un loro marchio Igp. Ma la questione è ben lungi dall’essere risolta e la Brexit in arrivo non aiuta certo a concentrarsi su questo problema soltanto vinicolo. Alla prossima.


L’Italian Wine & Food Institute non esita a definire ‘di assestamento’ l’anno appena trascorso per i vini italiani negli Stati Uniti. Vi sono state infatti nell’import vinicolo del 2016 in Usa notevoli oscillazioni da nazione a nazione, dal -26% dell’Argentina e dal -13,6% dell’Australia al +29% del Cile e dal +14% della Nuova Zelanda, e in tutto questo ottovolante i vini italiani sono riusciti a mantenersi abbastanza stabili, segnando a fine anno una quantità di 2,54 milioni di hl (-0,5%) e 1,34 miliardi di dollari in valore (+3,1%) confermando così il primo posto. Se poi si aggiungono spumanti, vini liquorosi e vermut il totale dell’export italiano si avvicina a 1,8 miliardi di dollari. L'Italia occupa il 33% in valore ed il 29% in quantità dell’import statunitense ed il prezzo medio dei vini italiani imbottigliati risulta di circa 5 dollari al litro contro i circa 9 dollari dei vini francesi, i più cari, ed i 3 dollari dei vini australiani, i meno cari. In grande evidenza poi la crescita degli spumanti italiani, che per l’anno appena trascorso raggiungono i 632.000 hl per un valore di oltre 35 milioni di dollari, un incremento del 30,8% in quantità e del 36,4% in valore.


L’ultimo rapporto dell’ufficio studi di Mediobanca, dedicato ai maggiori gruppi italiani e stranieri della Gdo alimentare, mette in grande evidenza il periodo favorevole per i supermarket di tipo discount, che vedono volare tra il 2011 e il 2015 i loro fatturati del 43% (Lidl Italia) e del 42,9% (Eurospin Italia). Buoni anche i risultati di Esselunga (+11,6%) e Iper Unes (+7%), stabili le coop (+0,1%), mentre segnano rosso il gruppo Pam (-4,9%), Carrefour (-9,4%) e Auchan-Sma (-19,6%). Esselunga ha realizzato utili netti per 1,1 miliardi di euro, quasi il doppio di Eurospin Italia, 635 milioni di euro. Al terzo posto Lidl Italia, 206 milioni di euro mentre Esselunga è però solo terza nell’incremento del ritorno sugli investimenti (Roi) con il 16% preceduta da Lidl Italia (23,7%) ed Eurospin Italia (20,6%).

Oltreconfine i fatturati sono molto diversi: il gruppo Wal Mart realizza 439,6 miliardi di euro; segue Kroger, altra statunitense, a 100,9 miliardi di euro, seguito dai francesi di Carrefour, con 76,9 miliardi di euro. Poco dietro la britannica Tesco, che ha realizzato vendite pari a 74,2 miliardi di euro. Ma occorre ricordare che stiamo parlando di grandi gruppi internazionali con filiali e punti vendita in parecchi Paesi mentre i gruppi a proprietà italiana non hanno presenza all’estero. Confrontando quindi la Gdo italiana solo con la quota domestica dei gruppi internazionali, si osserva che i 15.372 euro di vendite per metro quadrato di Esselunga sono imbattibili precedendo l’olandese Ahold 12.780 euro per metro quadrato, la britannica Tesco 12.050 euro, la spagnola Mercadona 8.070 euro e Carrefour 7.160 euro, in linea con la media italiana di 7.184 euro.


Sherry: da 22 milioni di bottiglie nel 2005 a 10 milioni nel 2015, in dieci anni - 55%. Porto: da 10 milioni di bottiglie a 8 milioni, - 20%. Vermut: da 16 milioni di bottiglie a 6 milioni, - 62%. Con queste cifre da bollettino di guerra si consuma il calo delle vendite di vini liquorosi nel Regno unito. Le ragioni di questo crollo sono da cercarsi in parte alla tassazione, ritenuta eccessiva dalla Wine and Spirit Trade Association (Wsta), che questi vini subiscono: si calcola infatti che una singola bottiglia di vino liquoroso sia tassata, tra iva e accise, di circa 4 sterline, circa il 60% del suo prezzo di vendita. Ma un peso effettivo lo manifestano anche le mutate abitudini dei consumatori britannici, per cui il tradizionale bicchiere di Sherry natalizio mentre si degusta un formaggio appare come una tradizione seguita solo dai più anziani. I giovani sembra abbiano perso questi ricordi e si orientano verso consumi diversi al punto che la Wsta ha lanciato per le recenti festività una campagna di informazione per rilanciare le vecchie abitudini così British.


È tempo di bilanci anche per il vino sfuso: lo fa The Drinks Business con un suo articolo che analizza le tendenze di questo segmento di mercato di grande importanza per il commercio vinicolo mondiale. Se nel 2015 si sono raggiunti i 36,3 milioni di hl (+3%) e una diminuzione in valore del 13,7%, l’anno appena trascorso ha visto una inversione netta di tendenza nei prezzi, anche se diversa da Paese a Paese. Le cause sono molteplici: in Europa la siccità ha causato una vendemmia abbastanza contenuta mentre a livello locale vanno ricordate le forti grandinate che, ad esempio, hanno colpito la regione del vino sfuso del Languedoc francese. Nell’emisfero Sud la vendemmia 2016 ha registrato in Cile e in Argentina un calo produttivo rispettivamente del 25% e del 30% dovuto in gran parte agli effetti del Niño, l’incremento di pressione atmosferica dovuto al riscaldamento delle acque dell’oceano pacifico.

Il futuro appare più che mai incerto, con i buyers costretti a scegliere se garantirsi subito gli approvvigionamenti necessari oppure mantenere i nervi saldi e attendere coraggiosamente se vi sono nuove occasioni da cogliere. I dati statistici più recenti, pubblicati lo scorso mese da Il corriere vinicolo, indicano nei primi nove mesi del 2016 al primo posto la Spagna, con 9,7 milioni di hl e un prezzo medio di 43 dollari/hl. Segue l’Italia con 3,8 milioni di hl e un prezzo medio praticamente doppio: 82 dollari/hl. A quasi 3 milioni di hl Australia e Cile, con 73-75 dollari/hl. Al quinto posto la Francia, che con ‘soli’ 1,3 milioni di hl realizza però il miglior prezzo: 149 dollari/hl.


La Cina dall’inizio di quest’anno ha ridotto le tariffe doganali sui vini australiani al 5,6% con l’obiettivo di porle al 2,8% a fine anno e a zero a fine 2018. È la messa in pratica dell’accordo di libero scambio tra i due Paesi del 20 dicembre 2015 che prevede per il vino in particolare l’azzeramento in pochi anni dei dazi doganali dall’iniziale 14%. Rimangono comunque in vigore il 17% di Iva e il 10% di accisa. Si attende da questa riduzione un ulteriore slancio delle esportazioni di vino australiano che a fine 2016 ammontavano a circa un milione di hl, il triplo dell’Italia. Grazie ad altri similari accordi di libero scambio, già Cile e Nuova Zelanda godono dell’azzeramento dei dazi doganali mentre nel semestre prossimo i vini georgiani otterranno anche loro una riduzione. Per quanto riguarda l’Unione europea, attualmente i rapporti economici con la Cina sono regolati da un accordo commerciale e di cooperazione del 1985. Dal 2007 sono in corso dei negoziati per l’aggiornamento a un nuovo a un nuovo accordo che comprenderà non solo il commercio, ma anche altri ambiti come la protezione ambientale e l’istruzione.


Una superficie di 650.000 ettari, dei quali ben 480.000 iscritti a Docg, Doc e Igt, divisi tra più di 200.000 aziende vitivinicole. Sono le cifre che il vino italiano può attualmente vantare e che Coldiretti ha voluto ricordare in occasione del nuovo anno. La vendemmia 2016 ha raggiunto una produzione di circa 50 milioni di hl e di questi più di 20 prendono la via dell’export generando un fatturato di 5,5 miliardi di euro. Il vino, fa osservare Coldiretti, è pertanto la prima voce dell’export agroalimentare nazionale ottenendo successi non solo sui mercati emergenti ma anche in casa degli altri Paesi produttori: +5% in Francia e +1% in Spagna mentre fuori Europa +14% in Australia e +3% negli Stati Uniti.

Il vino rappresenta un comparto economico che raggiunge 10 miliardi di euro di fatturato, composta da più di 200.000 aziende vitivinicole e che offre lavoro a 1,3 milioni di persone, impegnate in tutta la filiera, dal vigneto e dalla cantina alla distribuzione e alla vendita. Dietro una bottiglia di vino, ricorda Coldiretti, ci sono infatti ben diciotto settori produttivi diversi, dall’industria di trasformazione al commercio, dal vetro per bicchieri e bottiglie alla lavorazione del sughero per tappi, per non dimenticare l’importanza dei trasporti, accessori, enoturismo, cosmetica, bioenergia e molto altro.


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