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Il mio primo Vinitaly / il mio trentesimo

 Due generazioni, entrambe a Verona per raccontare le proprie impressioni sulla più importante fiera vinicola italiana

Sono le 8.20, presto, molto presto per essere una domenica mattina, sul piazzale si raccolgono giornalisti ed espositori in un mistico silenzio, una leggera pioggerellina primaverile ci avvolge, la quiete prima della tempesta qualcuno potrebbe dire. Tutto è pronto, gli attori si dispongono sul palco, può alzarsi il sipario, che lo spettacolo abbia inizio. Perché Vinitaly è anche questo per chi arriva la prima volta: un enorme paese delle meraviglie. E allora ti trovi come Alice ad avventurarti tra imponenti stand colorati che fanno a gara per primeggiare, i tastevin dei sommelier danzano al suono dei tappi stappati e del tintinnio dei calici, per l’aria si sprigiona l’odore di vino che subito ‘l’anime va a rallegrar’. Ma Vinitaly è anche molto altro, è un ritrovarsi tra vecchi amici lontani e vicini uniti da una unica passione che si tramanda da padre in figlio, di generazione in generazione, per una manifestazione che ogni anno supera se stessa. Allora, perdendoti tra gli stand, capita di vedere un abbraccio tra vecchi amici, una tavola imbandita con attorno dei commensali, qualcuno orgoglioso che presenta i suoi vini nati da una tradizione centenaria unita al progresso, qualcuno che invece degusta un passato glorioso. Perché il Vinitaly è tradizione, è famiglia, è cultura, la nostra cultura italiana, un invisibile filo rosso che collega secoli di storia a cui vieni invitato. Ma il tempo è poco, troppo poco, si fa presto sera ed è ora di tornare a casa, ti rimane questo sapore agrodolce in bocca, sai di aver lasciato alle spalle qualcosa che ti appartiene, sai di aver fatto parte per un giorno di un mondo che è nel tuo Dna ma allo stesso tempo che è lontano da te, che ti sfugge ricoperto della sua aura mistica. (marta m.)

 

La sveglia all’alba. Il freddo sotto la pensilina della stazione. Devi arrivare presto o ti becchi una coda bestiale. Poi arrivi in fiera, entri. I padiglioni delle regioni sono tutti lì, cambia solo il disegno esterno ma sono lì, immobili, accoglienti, amichevoli. Ti guardi in giro e saluti qualche collega giornalista, ci sei anche quest’anno, qualche capello bianco in più. E poi come vecchi veterani ci avviamo alla cerimonia di apertura per cogliere che aria tira quest’anno e riferirlo ai nostri giornali. Dopo, un giro veloce tra i padiglioni, un appuntamento fugace, una stretta di mano, la folla che cresce e ti rende difficile camminare tra gli stand. Come ogni anno. E per te sono già trenta. Ma trovi ancora il tempo per stupirti, per soddisfare una curiosità, per provare un vino che non conoscevi, e ti accorgi che stai ancora imparando qualcosa. Tu che pensavi ormai di sapere molte cose, di avere visto molte cose, riscopri ancora una volta come il vino sia una fonte infinita di cultura, di storia, di umanità. A sera, tornando indietro, dondolato dal vagone guardi quanti minuti mancano per arrivare a casa. Sono trenta. L’anno prossimo vinco io: trentuno. (marco m.)

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